Offensiva degli hotel: “Airbnb vale 4 milioni di tasse”

Offensiva degli hotel: “Airbnb vale 4 milioni di tasse”

Riportiamo di seguito il testo integrale dell’articolo pubblicato da Repubblica l’8 giugno 2017

Il caso/ la replica: presto un accordo con il Comune

Ilaria Carra

OLTRE quattro milioni di incassi extra per le casse pubbliche, comunali e statali. È una stima di quanto varrebbe, da un lato, l’applicazione della cedolare secca utilizzando le piattaforme di home sharing, a partire da Airbnb, come sostituti di imposta e, dall’altro, del valore potenziale complessivo della tassa di soggiorno che spetterebbe al Comune. Le proiezioni sono un’offensiva che arriva dagli albergatori di Atr, l’associazione di categoria che fa capo a Confesercenti.

La regolarizzazione totale delle nuove piattaforme di affitto di alloggi online è una questione ancora aperta. Gli albergatori, orfani di una significativa fetta di mercato dopo il boom del fenomeno dell’home sharing, hanno lanciato lo scorso aprile un sito (hotelvsairbnb.it) per rimarcare le differenze tra le due tipologie di ospitalità. E hanno provato a fare due conti di massima. Anzitutto di quanto incasserebbe l’erario se la piattaforma diventasse un sostituto d’imposta: vista la cedolare secca al 21 per cento, la trattenuta che Airbnb dovrebbe mediamente applicare a ogni milanese che affitta la propria casa (10.300 nel 2016) secondo queste stime sarebbe di circa 300 euro, in totale circa tre milioni. Allo stesso modo Milano potrebbe incassare dalla tassa di soggiorno fino a 1,5 milioni, una cifra che deriverebbe non solo dalla tassa già versata – assicura Airbnb – per le locazioni brevi ma anche per quelle a lungo periodo. E alla quale si arriva considerando una media di 180 euro di tassa per ogni host. «Per Airbnb e le altre piattaforme di affitto breve di appartamenti – afferma Rocco Salamone, presidente di Atr – la nuova legge sulla cedolare secca è la prova del nove per capire se vogliono aiutare a contrastare l’evasione». Andrea Painini, presidente milanese di Confesercenti, ne fa una questione di regole: «È il consumatore che traccia i trend del futuro ma noi vogliamo solo regole uguali per tutti».

Airbnb divide le due questioni. Per la tassa di soggiorno l’intesa col Comune sembra vicina: «A Milano abbiamo da tempo avviato un confronto sul nostro ruolo come agenti di riscossione e contiamo di firmare presto un accordo: non abbiamo problemi a ipotizzare numeri importanti per il Comune». Sul ruolo di sostituti di imposta sul reddito Airbnb precisa che «i numeri di Confesercenti non hanno senso: la manovra prevede un prelievo solo da locazioni brevi ma la piattaforma è aperta a tutti: è impossibile fare prelievi mirati. Per questo avevamo proposto una tariffa uguale per tutte le transazioni a prescindere da chi sia l’host, non ci hanno ascoltato».

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I nodi della falsa sharing economy vengono al pettine

I nodi della falsa sharing economy vengono al pettine

Succede a macchia di leopardo, ma succede, finalmente! Berlino è l’ultima città in ordine di tempo ad affrontare seriamente la questione: dare un volto ben delineato alla sharing economy e distinguerla senza indugi dall’economia che con la condivisione non ha niente a che fare.

Da oggi ci sta provando anche l’Italia con una proposta legge ad hoc, intitolata “Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell’economia della condivisione”, prima firmataria l’Onorevole Veronica Tentori. Una Proposta aperta alla consultazione pubblica per tutto il mese di maggio, e che noi di ATR (Associazione turismo e ricettività) accogliamo con favore. Perché il fenomeno è ormai di ampia portata e per di più è destinato a crescere ancora. Citiamo alcune cifre, riprese direttamente dall’intoduzione della Proposta di legge: “In Italia secondo uno studio di Collaboriamo.org e dell’università Cattolica le piattaforme collaborative nel 2015 sono 186 (+34,7 per cento rispetto al 2014). Tra i settori più interessati ci sono il crowdfunding (69 piattaforme), i trasporti (22), i servizi di scambio di beni di consumo (18) e il turismo (17)”; inoltre “il 25 per cento degli italiani che navigano su internet sta già utilizzando i servizi collaborativi”.

 

Regolamentare, anche contro elusione fiscale e concorrenza sleale

Sono numeri importanti, soprattutto se messi accanto a quelli relativi agli aspetti economici: “Una compiuta regolamentazione del fenomeno consentirebbe infatti l’emersione di un ampio segmento di economia informale relativo ai servizi tipicamente riconducibili alla sharing economy. Si potrebbero così recuperare in Italia circa 450 milioni di euro di prodotto interno lordo (PIL) di base imponibile, attualmente oggetto di elusione fiscale, corrispondenti a non meno di 150 milioni di euro di maggiore gettito per l’erario, tra imposte dirette e imposte indirette. Entro il 2025 si stimano crescite di oltre venti volte la stima, portando così il nuovo gettito a circa 3 miliardi di euro”.

Accanto a questioni come l’elusione fiscale e la concorrenza sleale, la proposta di legge non trascura di sottolineare altri temi molto rilevanti, che anche a noi stanno molto a cuore: la sicurezza e la tutela dei consumatori e dei lavoratori.

Ora il quadro si mostra in (quasi) tutta la sua complessità. I nostri associati, gli albergatori della Città metropolitana di Milano, sono costretti a fare i conti con la crisi senza trascurare normative, obblighi, imposizioni fiscali. Un impegno gravoso e un’impresa per niente facile, ma ogni settore si trova in situazioni analoghe e tutti si rimboccano le maniche. Anche noi.

Tuttavia, la falsa sharing economy si inserisce in questo quadro e altera tutti gli equilibri. Ci mette nelle condizioni di dover affrontare una concorrenza scorretta e pressoché inafferabile. Per questo chiediamo interventi veloci ed efficaci.

 

Siamo contro la falsa sharing economy

Si noti bene: quella che chiediamo di combattere è la falsa sharing economy! E per farlo, nel nostro settore è indispensabile tracciare confini precisi. Un compito delicato, che non è altrettanto necessario nell’ambito dei trasporti, per fare un esempio. Lì infatti le piattaforme sono ben distinte: la vera economia di condivisione, che noi apprezziamo e difendiamo, è Blablacar, dove si condivide (per l’appunto) un posto libero nella propria auto con qualcuno, per dividersi le spese e ridurre l’impatto ambientale del viaggio; la falsa sharing economy è Uber, che funziona proprio come un’impresa di noleggio con conducente e offre un servizio a pagamento, ma senza tutti gli oneri di chi lavora come tassista.

Nel settore della ricettività è tutto confuso, l’offerta è una palude informe in cui convivono indistinti fra loro cittadini che condividono la propria abitazione per brevi periodi con persone di passaggio in città e proprietari di immobili che affittano a turisti bypassando ogni regolamentazione e ogni obbligo.

 

I molti rischi di una situazione confusa

ATR lancia un allarme: questa situazione da un lato mette a rischio un’intera categoria di lavoratori (e non solo di piccoli imprenditori!), e dall’altro non protegge gli utenti dei servizi. Nel contempo, priva l’intera comunità degli introiti derivanti da un’equa tassazione delle attività commerciali “travestite” da condivisioni.

Chiediamo quindi che le istituzioni si attivino con sollecitudine, il Parlamento con una Legge chiara e le Regioni con Regolamenti puntuali ed equi, per dare indirizzi certi al nostro settore. Non vogliamo paralizzare né tantomeno uccidere il fenomeno della condivisione, che riconosciamo come utile risorsa per ridurre il disagio economico e sociale sia di chi offre sia di chi mette in comune beni e servizi. Siamo convinti però che alcune norme di sicurezza siano utili a tutti. Ma soprattutto vogliamo evitare che un uso improprio della sharing economy finisca nei fatti per dare ossigeno all’economia sommersa, accrescerndo la schiera dei disoccupati o dei cassintegrati.