Succede a macchia di leopardo, ma succede, finalmente! Berlino è l’ultima città in ordine di tempo ad affrontare seriamente la questione: dare un volto ben delineato alla sharing economy e distinguerla senza indugi dall’economia che con la condivisione non ha niente a che fare.

Da oggi ci sta provando anche l’Italia con una proposta legge ad hoc, intitolata “Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell’economia della condivisione”, prima firmataria l’Onorevole Veronica Tentori. Una Proposta aperta alla consultazione pubblica per tutto il mese di maggio, e che noi di ATR (Associazione turismo e ricettività) accogliamo con favore. Perché il fenomeno è ormai di ampia portata e per di più è destinato a crescere ancora. Citiamo alcune cifre, riprese direttamente dall’intoduzione della Proposta di legge: “In Italia secondo uno studio di Collaboriamo.org e dell’università Cattolica le piattaforme collaborative nel 2015 sono 186 (+34,7 per cento rispetto al 2014). Tra i settori più interessati ci sono il crowdfunding (69 piattaforme), i trasporti (22), i servizi di scambio di beni di consumo (18) e il turismo (17)”; inoltre “il 25 per cento degli italiani che navigano su internet sta già utilizzando i servizi collaborativi”.

 

Regolamentare, anche contro elusione fiscale e concorrenza sleale

Sono numeri importanti, soprattutto se messi accanto a quelli relativi agli aspetti economici: “Una compiuta regolamentazione del fenomeno consentirebbe infatti l’emersione di un ampio segmento di economia informale relativo ai servizi tipicamente riconducibili alla sharing economy. Si potrebbero così recuperare in Italia circa 450 milioni di euro di prodotto interno lordo (PIL) di base imponibile, attualmente oggetto di elusione fiscale, corrispondenti a non meno di 150 milioni di euro di maggiore gettito per l’erario, tra imposte dirette e imposte indirette. Entro il 2025 si stimano crescite di oltre venti volte la stima, portando così il nuovo gettito a circa 3 miliardi di euro”.

Accanto a questioni come l’elusione fiscale e la concorrenza sleale, la proposta di legge non trascura di sottolineare altri temi molto rilevanti, che anche a noi stanno molto a cuore: la sicurezza e la tutela dei consumatori e dei lavoratori.

Ora il quadro si mostra in (quasi) tutta la sua complessità. I nostri associati, gli albergatori della Città metropolitana di Milano, sono costretti a fare i conti con la crisi senza trascurare normative, obblighi, imposizioni fiscali. Un impegno gravoso e un’impresa per niente facile, ma ogni settore si trova in situazioni analoghe e tutti si rimboccano le maniche. Anche noi.

Tuttavia, la falsa sharing economy si inserisce in questo quadro e altera tutti gli equilibri. Ci mette nelle condizioni di dover affrontare una concorrenza scorretta e pressoché inafferabile. Per questo chiediamo interventi veloci ed efficaci.

 

Siamo contro la falsa sharing economy

Si noti bene: quella che chiediamo di combattere è la falsa sharing economy! E per farlo, nel nostro settore è indispensabile tracciare confini precisi. Un compito delicato, che non è altrettanto necessario nell’ambito dei trasporti, per fare un esempio. Lì infatti le piattaforme sono ben distinte: la vera economia di condivisione, che noi apprezziamo e difendiamo, è Blablacar, dove si condivide (per l’appunto) un posto libero nella propria auto con qualcuno, per dividersi le spese e ridurre l’impatto ambientale del viaggio; la falsa sharing economy è Uber, che funziona proprio come un’impresa di noleggio con conducente e offre un servizio a pagamento, ma senza tutti gli oneri di chi lavora come tassista.

Nel settore della ricettività è tutto confuso, l’offerta è una palude informe in cui convivono indistinti fra loro cittadini che condividono la propria abitazione per brevi periodi con persone di passaggio in città e proprietari di immobili che affittano a turisti bypassando ogni regolamentazione e ogni obbligo.

 

I molti rischi di una situazione confusa

ATR lancia un allarme: questa situazione da un lato mette a rischio un’intera categoria di lavoratori (e non solo di piccoli imprenditori!), e dall’altro non protegge gli utenti dei servizi. Nel contempo, priva l’intera comunità degli introiti derivanti da un’equa tassazione delle attività commerciali “travestite” da condivisioni.

Chiediamo quindi che le istituzioni si attivino con sollecitudine, il Parlamento con una Legge chiara e le Regioni con Regolamenti puntuali ed equi, per dare indirizzi certi al nostro settore. Non vogliamo paralizzare né tantomeno uccidere il fenomeno della condivisione, che riconosciamo come utile risorsa per ridurre il disagio economico e sociale sia di chi offre sia di chi mette in comune beni e servizi. Siamo convinti però che alcune norme di sicurezza siano utili a tutti. Ma soprattutto vogliamo evitare che un uso improprio della sharing economy finisca nei fatti per dare ossigeno all’economia sommersa, accrescerndo la schiera dei disoccupati o dei cassintegrati.